The Square: riflessione sull’ipocrisia contemporanea

Una luce a led disegna il perimetro di un quadrato entro cui si può entrare, formulare una richiesta di aiuto e attendere che qualcuno soddisfi il nostro bisogno. È “The Square, l’ultima installazione di arte contemporanea del X-Royal Museum, uno spazio utopico che col suo messaggio di amore gratuito spera di far breccia in una società dominata dall’egoismo e dilaniata dalle disuguaglianze sociali.

Una società ai cui vertici ci sono figure come Christian, curatore del museo e personalità narcisistica che, dietro a un paio di occhialetti rossi e tra le pieghe di una sciarpa che gli svolazza sulle spalle, si atteggia a intellettuale, forte della sua posizione di potere raggiunta. Sotto “The Square si legge una bella didascalia: «Il quadrato è un santuario di fiducia e di amore, al cui interno tutti abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri». Christian l’ha imparata a memoria e la ripete come un mantra in ogni occasione di promozione dell’installazione. Sarà facile riuscire a mettere in pratica questi insegnamenti così lineari anche nella propria vita?

Il curatore non sembra mosso da altrettanto altruismo quando, derubato del telefono e dopo averne localizzato la posizione, spedisce una lettera minatoria a tutti i condòmini di un palazzo nella periferia di Stoccolma, tirando nel mucchio anche un bambino innocente, accusato dai genitori di essere il responsabile del furto. Se a questo aggiungiamo una disastrosa campagna di pubblicizzazione di “The Square”, approvata da Christian con leggerezza, capiamo come la sicurezza di cui si ammantava fosse in realtà una fragile maschera dietro cui si celavano pregiudizio e superficialità.

Il curatore è infatti il prodotto raffinato dell’ipocrisia contemporanea viziata dalla malattia dell’individualismo, così come conferma la potente scena della cena di gala, animata da una sintomatica performance artistica: un uomo-primate si agita e riempie di grida scimmiesche una sala dorata popolata dall’alta società svedese. L’attore, coi rivoli di sudore che gli corrono lungo la schiena e ormai preso dalla mania dell’interpretazione, arriverà a trascinare una commensale per i capelli. Passeranno dei secondi interminabili prima che qualcuno si alzi per fermare lo scempio in corso.

Anche Christian fatica ad assumersi le proprie responsabilità e quando prova ad andare nella giusta direzione, registrando un video di scuse rivolto ai genitori del bambino, non ci vuole molto per ritornare sui propri passi, trasformando un tentativo che pareva sincero in uno sproloquio in cui la colpa dei propri pregiudizi viene fatta ricadere sulla collettività e lo Stato.

Una possibilità di cambiamento può nascere in lui solo dopo aver perso tutto: simbolicamente svestito degli eleganti completi e con addosso una felpa col cappuccio, va con le sue figlie a scusarsi di persona con chi aveva accusato ingiustamente. Christian sperava forse di redimersi e di ottenere un perdono tardivo, ma non sapremo mai se questo gli sarebbe stato concesso: la famiglia del bambino non viveva più in quel condominio.

A cura di Mattia Rizzi