Therapy Dogs: next gen editing al NOAM
Non è facile girare e montare un film a 17 anni. Non è facile girare e montare un film in generale, in realtà. Ethan Eng, tuttavia, ci è riuscito da neodiplomato accogliendo i favori di pubblico e critica allo Slamdance2022, con una pellicola non proprio ordinaria: il racconto, tra verità e sceneggiatura, del suo ultimo anno di scuola, accompagnato dal migliore amico Justin, nella cornice invece estremamente ordinaria di una High school canadese. «The movie we all deserve, the truth about High school», come dice Ethan nella prima scena del film.
Se la pellicola sia o meno una rappresentazione veritiera della realtà scolastica canadese, risulta difficile giudicarlo dall’altra parte dell’oceano. Tuttavia, anche da qua, Therapy dogs trasuda, salvo qualche rara scena che sembra invece più forzata, un’onestà ed una genuinità che pochi film riescono ad avere, grazie anche (o forse soprattutto) alla scelta obbligata della formula: un mockumentary presentato ai compagni come il video dell’annuario, che ci permette di immergerci completamente nella Cathrwa’s Park Secondary School, senza troppi artifici cinematografici a separare l’esperienza del film da quella di uno studente qualunque.
Therapy dogs si presenta come un insieme slegato di episodi, brevi sequenze senza alcuna correlazione l’una con l’altra meno i propri protagonisti, Justin e Ethan, i quali si cimentano in varie attività, che spaziano dal consumo di LSD all’esplorazione di edifici abbandonati, o dal travestirsi da Wolverine correndo per la scuola. Al netto della sceneggiatura, ciò che risulta evidente, anche dopo i primi minuti, è che quello che stiamo vedendo non è un film come un altro, ma uno che anzi utilizza il linguaggio cinematografico in maniera nettamente più libera del normale, piegandolo alle proprie necessità narrative e, soprattutto, adattandolo al proprio target audience (non a caso ha vinto il premio giovani della prima edizione del nostro NOAM Faenza Film Festival). Un film da studenti per studenti, girato e montato senza alcuna supervisione di un adulto. Si può notare l’influenza di YouTube e dei social in generale: sequenze sempre più brevi per una generazione con una soglia dell’attenzione sempre più bassa; la generazione z, sovrastimolata multimedialmente, bombardata da foto e video a rapido scorrimento che negli anni si sono ridotti di durata. Quindi, come da un lato si nota uno stile di ripresa spesso più da blogger che da filmmaker, dall’altro ciò che spicca veramente come rappresentativo della generazione del regista è l’editing, sì ben congegnato, sì ben pensato, sì cinematografico da un ragazzo che sicuramente di film ne ha visti tanti (ma mai troppi), ma che aiuta il girato a non perdere genuinità e si ispira alla forma di fruizione multimediale che a Ethan è sicuramente più familiare: quella via social.
Non vi sono sequenze più lunghe di una cinquina di minuti, e le più corte faticano ad arrivare a due; un esempio lampante ci è dato da quella che dà il nome al film, therapy dogs appunto, che consiste solamente in una serie di riprese di Justin che interagisce con una serie di cani da terapia, accarezzandoli e scherzandoci. Come le altre, la sequenza è introdotta da una schermata colorata con qualche disegno scarabocchiato attorno al titolo: che sia forse un richiamo, voluto o meno, alle Thumbnail di YouTube, o comunque il simbolo della necessità di dare un nome a ogni singola sezione, non lasciando parlare solamente la pellicola ma volendoci mettere un commento dall’autore?
Insomma, si può concludere che i vari YouTube, Twitch, Instagram abbiano influenzato, consapevolmente o meno, Ethan Eng nella realizzazione del suo esordio alla regia Therapy dogs, ma a questo punto è lecito chiedersi: quello di Ethan Eng resterà un unicum, oppure sarà preso come esempio dai registi del futuro nel tentativo di rendere il medium cinematografico più vicino alle esigenze ed ai gusti dei nuovi cinefili?
A cura di Francesco Colombo