Tre piani: la casa del nostro Io

Nanni Moretti, giunto al suo tredicesimo film, trae il racconto di Tre piani dall’omonimo romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, i cui tre piani del titolo, che compongono la palazzina abitata dai protagonisti, sono una chiara metafora della tripartizione della personalità individuale teorizzata da Freud: l’essere umano sarebbe infatti composto da Io, Es e Super-Io.

I condòmini di una palazzina di Roma vengono sconvolti da un terribile fatto: Andrea, il figlio ubriaco di Vittorio (Nanni Moretti), investe sotto casa un’anziana signora. L’incipit del film si rivela un geniale escamotage narrativo per svelare tutte le falle nascoste dietro le finestre di tre appartamenti. Il perturbante freudiano dice che gli eventi più traumatici della nostra vita avvengono proprio tra le quattro mura di casa. Tre piani, infatti, è un film incentrato sul racconto di disagi, incomprensioni, eventi tragici e dinamiche familiari complicate. Queste vengono raccontate dallo stesso regista, il quale, ritagliatosi una parte minore ma non meno importante, sceglie di concentrarsi sul racconto degli altri.

Il film è diviso in tre atti, in cui l’azione narrativa prosegue di cinque anni, coprendo così un arco temporale che dura dal 2010 al 2020, capace, quindi, di svelare alcune dinamiche sociali della contemporaneità. Astuta e scaltra la scelta della collocazione fisica degli inquilini: Nanni Moretti abita all’ultimo piano della palazzina, rappresentazione metaforica della componente censoria della nostra personalità, cioè il Super-Io. Lucio, invece, vive al piano più basso, quello più profondo della nostra psiche, più recondito, l’Es, raffigurando così la difficoltà di resistere agli impulsi: sarà infatti colui che non riuscirà a gestire alcune situazioni della propria vita, facendo prevalere pregiudizi e voglie sessuali, senza riuscire a frenarli o reprimerli. Monica reprimerà invece fin troppo la sua necessità di aiuto e di affetto, arrivando a soluzioni drastiche.

Le storie dei condòmini si intrecciano tra loro, ma mantengono un livello di attrazione equilibrato, poiché nessun personaggio prevale sull’altro. Nanni Moretti si conferma nuovamente intenzionato al racconto di storie di natura psicoanalitica, conferendo al cinema l’autorità di mezzo utile a mostrare e ad analizzare istanze di vita vissuta. Il regista continua, infatti, a sostenere la tesi che il cinema aiuti in qualche modo a comprendere l’uomo nonostante la sua complessità impossibile da semplificare.

A cura di Matteo Malaisi