Di donne e di fantasmi  

Prima del Me Too, prima della caccia agli artisti-mostro, prima degli scoop da prima pagina, Pedro Almodóvar dirigeva la sua musa Penélope Cruz in un film destinato a fare la storia della cinematografia.

Nel lontano 2006 usciva nelle sale Volver, il diciassettesimo lungometraggio del regista spagnolo che, dopo due opere “al maschile” come Parla con lei e La mala educación, è tornato ad occuparsi dell’universo femminile, portandone alla luce i suoi più intimi segreti. Attraversando tre generazioni di donne che ruotano tutte attorno alla protagonista Raimunda, interpretata da una Penélope Cruz truccata e acconciata per assomigliare alla grande Sophia Loren, il film si apre in un cimitero dove le signore del piccolo paese della zona di Castiglia-La Mancia sono intente a pulire le tombe dei loro defunti. Nessuna di loro si parla, ma c’è solidarietà tra gli sguardi. Come se ciascuna di loro sapesse esattamente quale sia il suo posto nel mondo. L’unica voce che si ode è quella di Raimunda che si rivolge alla figlia adolescente Paula spiegandole l’origine di quel vento caldo che ha causato l’incendio in cui morirono i suoi nonni. Sono i primi morti della storia, ma a breve se ne aggiungerà un terzo: Paco, il marito della protagonista e patrigno di Paula. I pochi personaggi maschili sono tutti connotati negativamente: uomini intrisi di machismo che pongono le loro consorti un gradino sotto di loro. Si scoprirà infatti che la giovane Paula nasconde un segreto: è stata lei ad uccidere il patrigno per difendersi da un tentativo di stupro. Sarà proprio questo episodio a far muovere il complesso meccanismo di intrighi e misteri che coinvolgerà tutte le donne della storia, vive, trapassate o presunte tali.

Volver è un film che, oltre a parlare di donne e alle donne, tratta anche il tema dello spiritismo, molto legato alla sfera femminile. Il termine strega viene da sempre utilizzato per indicare qualsiasi persona che faccia uso della magia o che professi un particolare tipo di paganesimo incentrato sulla natura; ma, nel linguaggio moderno, ha acquistato un significato completamente diverso dai precedenti: una strega può anche essere una figura simbolo dell’indipendenza femminile e della resistenza della donna contro il predominio maschile. Sembra questa l’accezione più adatta a identificare Soledad e Irene, rispettivamente la sorella e la madre della protagonista. Soledad – detta Sole – viene infatti a conoscenza di fenomeni paranormali connessi con lo spirito di Irene, sua madre, che alcune donne del paese riferiscono di aver visto. Saranno voci vere o semplici pettegolezzi?

L’intera filmografia di Almodóvar è intrisa della sua storia personale: nato e cresciuto in una famiglia matriarcale proprio nella calda e ventosa provincia di Castiglia-La Mancia, il regista mette in scena la sua vita, a volte tratteggiandola attraverso alcuni dei suoi temi più cari (come in Volver), altre ancora scrivendo la propria autobiografia (come nel recente Dolor y gloria). Il ritorno al passato, alle radici, al paese, alla madre, si configura come la riappropriazione della propria storia personale (quella di Almodóvar, di Raimunda, ma anche dello spettatore) che passa attraverso la tradizione e il fantastico. È un mondo femminile di solidarietà e maternità in cui il ritorno è legato al perdono e a un nuovo modo di guardare al futuro. Forse è proprio per questo che i suoi film risultano credibili, i suoi personaggi veritieri e i loro sentimenti condivisibili. Forse non è vero che per fare un film sulle donne ci vuole necessariamente una regista donna; forse basta frequentare le donne, ascoltarle e imparare a conoscerle. O forse solo Almodóvar è l’unico in grado di farlo così bene.

A cura di Gloria Sanzogni